Eventi di grazia, perché tali vanno considerati questi momenti di passaggio nella vita di due giovani che consacrano la loro vita al Signore in vista del ministero sacerdotale.
Quello che ha colpito in entrambe le occasioni è stata la cura con cui le due comunità parrocchiali hanno preparato queste giornate e la viva partecipazione di tanti fedeli che
con emozione, insieme al clero presente e ai genitori dei candidati, si sono stretti ai nuovi diaconi nei vari momenti dell’ordinazione.
Due momenti diversi che il Vescovo ha saputo sapientemente collegare nell’omelie delle due celebrazioni.
Nell’omelia del 26 il Vescovo ha fatto un’ampia riflessione sulla collocazione del diaconato nel racconto degli Atti degli Apostoli (6,1-7) dove viene descritta la richiesta di intervento di un gruppo di fratelli – gli Ellenisti –, e la soluzione dei Dodici che per dedicarsi alla predicazione e alla preghiera, affidano a sette uomini di buona reputazione, la cura delle mense. Il Vescovo ha così sottolineato che pur non ritrovandosi necessariamente, e su fondamenti chiari, in tale brano l’istituzione del diaconato e quindi dei Sette come i primi diaconi, “il servizio – la diakonia – preesiste al fatto, essendo coincidente con la stessa missione di Cristo e i termini diakonein e diakonos nella loro genericità dellevarie forme in cui vengono applicate, ne indicano di volta in volta la specificità”.
In questo contesto si colloca la vocazione, l’opera e il martirio di santo Stefano Stefano, indicato come “uomo di fede e di Spirito Santo” (At 6, 5), “pieno di grazia e di potenza operatore di grandi prodigi in mezzo al popolo” (At 6, 8), dotato di sapienza e di spirito, tali da tener testa ai suoi provocatori (At 6,10), fino al punto, dopo il grande discorso e l’invettiva finale loro rivolta di sentirsi rodere il fegato dalla rabbia e di digrignare i denti contro di lui (At 7,54) e di portarlo alla lapidazione (At 7, 55-60).
“Stefano, infatti – ha affermato il Vescovo - è il servo coerente con la sua fede per la quale per questo affronta anche la morte” traendo da qui il legame/parallelismo servizio/fedeltà, diakonia/martyria, servizio/testimonianza.
E rivolgendosi ad Emilio, Sua Eccellenza lo ha invitato ad essere come Santo Stefano, “vero”, autentico: “servo e testimone della Parola, servo e testimone più vicino all’Eucaristia, servo e testimone della carità, servo e testimone della comunione”, ricordandogli che pur essendo il suo un diaconato transeunte, la dimensione del servizio non è una dimensione di passaggio, “ma talmente connotante del ministero presbiterale che gli è da base sull’esempio dell’unico Sommo Sacerdote Gesù Cristo”. E ancora esortandolo ad assumere la Evangelii gaudium di papa Francesco “come base programmatica” della sua nuova dimensione. Il forte richiamo, quindi, a Maria, Madre della Chiesa, perché “la protezione e l’affidamento a lei farà di te, caro Emilio, un servo “fidato” del Signore, un uomo di fiducia per i tuoi fratelli dei quali oggi pubblicamente diventi servo nel tempo per l’eternità”.
Nell’omelia del 27 il Vescovo ha spiegato il senso della collocazione della festa di san Giovanni Apostolo dopa la festa di santo Stefano, a partire dai riferimenti diaconali del Vangelo di Giovanni che pur essendo pochi, sono molto indicativi.
Il primo, le nozze di Cana, dove diaconi sono i servi che Maria invita a fare quello che Gesù dirà loro per risolvere il problema della mancanza di vino.
Poi i brano in cui Gesù indica che la condizione base per la sequela è la volontà del servizio “Se uno mi vuol servire [diakonè] mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore [diàkonos]. Se uno mi serve [diakonè] il Padre lo onorerà” (Gv 12,26).
In questa cornice di riferimenti il Vescovo ha collocato il ministero specifico del diacono affermando che “ildiakanein, il servire, è sempre da vivere in relazione a Cristo, nell’obbedienza a lui che passa attraverso la Chiesa”. In questo senso il legame strettissimo che unisce l’obbedienza del diacono al Vescovo ha nel rito dell’Ordinazione due momenti solenni: il primo è il gesto fondamentale dell’Ordinazione, l’imposizione delle mani solo del Vescovo che sta a indicare il rapporto diretto, la relazione prima del diacono con il Vescovo: “da lui prende le consegne, queste è chiamato a espletare, di queste risponde direttamente al Vescovo anzitutto”. Il secondo momento è l’ultimo impegno che l’eletto pubblicamente assume quando, ponendo le sue mani nelle mani del Vescovo, promette a lui e ai suoi successori nella Chiesa diocesana, “filiale rispetto e obbedienza”.
E accostando questo atto al momento precedente in cui aveva posto le mani anche sul capo dell’ordinando, il Vescovo ha aggiunto: “Il pensare e l’operare diaconale hanno in questa fisicità esterna 1’esplicitazione dell’adesione intima, interiore” i cui risultati saranno prodigiosi: “l’acqua trasformata in vino, la trasformazione radicale della nature delle cose e degli eventi in segni evidenti del Dio che opera a gioia dell’uomo”.
Sua Eccellenza ha poi fatto riferimento alla lavanda dei piedi di Gesù agli apostoli e particolarmente all’atto in cui Gesù pone le mani di Gesù sui piedi degli apostoli. È il gesto più umile e vincolante, quasi una caparra di tutti quelli compiuti dal Maestro e Signore con i suoi, nel quale si è visto la vera consacrazione di Gesù al ministero ordinato degli Apostoli. E poi il rimando al momento della consegna del libro dei Vangeli questa volta non all’ordinando diacono, ma al diacono ordinato con quelle parole che gli ordinati in sacris dovrebbero sempre ricordare: “Ricevi il vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunciatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che appreso nella fede, vivi ciò che insegni”.
In quest’anno della Carità, quindi, il rifermento all’Evangelista Giovanni, il discepolo dell’amore. “L’amore, che era da principio, visto con i propri occhi, toccato con le proprie mani, presenza sperimentata nei giorni della vita terrena del Signore diventa il motivo del mistero della Parola, della diakonia di Giovanni” - ha affermato il Vescovo - osservando che “questo dell’amore all’altro, come attenzione al riconoscimento di Cristo nei più diseredati della storia resta il criterio finale della sicura appartenenza a Cristo. In Mt 25, 44 la specificità della domanda in che cosa si è mancata di fronte a Cristo ha proprio questo termine: “in che cosa non ti abbiamo servito?”. E proseguendo: “Il giudizio universale, assunto come ricordo evocativo in quest’Anno della carità, richiama la nostra Diocesi a questo preciso interrogativo di fondo: in che cosa dobbiamo servirlo ? Meglio: in chi ? Lo sappiamo, ormai. Si tratta solo di passare alla pratica”.
Le ultime parole dell’omelia sono state, poi, rivolte all’ordinando con il richiamo all’altro Giovanni, il battistrada precursore del Signore: Giovanni Battista che, per rendere testimonianza alla verità, vi ha rimesso la testa, mentre l’altro ha posato il suo capo sul petto di Gesù per coglierne una confidenza suprema. Da qui l’invito a vivere il suo diaconato ispirandosi ad ambedue.: “Servo e discepolo, che si lascia trasformare dal contatto personale con il Signore per maturare una grande capacità di rapporti con l’altro”.
E infine l’esortazione ad essere “docile a quanto la Parola pregata, meditata, personalizzata” va dicendo ogni giorno al suo cuore e a riconoscersi grande “solo perché ti fai servo di tutti”. E tra tanti altri preziosi consigli quello di “partire dalle altrui necessità per condizionarvi le tue e non viceversa” e a fidarsi del Signore, “come lui da questa sera, con l’ordine del Diaconato, dimostrerà di fidarsi di te”.
Diac. Cecè Caruso